Se pensate che la maratona politica di Mentana, durante i referendum, sia stata quasi un’impresa eroica non sapete della “38 ore” di Dado Tedeschi. La “38 ore” è la maratona comica che il comedian e autore milanese ha organizzato, per la seconda volta, a scopo benefico, a Milano lo scorso giugno presso l’Arci Martiri di Turro. Dado, per tutta la durata dell’evento si è alternato sul palco con oltre cento comici, mescolando stand up comedy e cabaret. Per una serie di motivi anche questa intervista è diventata una maratona. L’abbiamo cominciata con qualche “botta e risposta” su Fb proseguendo poi tra le sue serate live, i mondiali e non pochi imprevisti da parte di entrambi. Senza rendercene conto ne è venuta fuori una lunga chiacchierata.

Dado, sono passati un po’ di giorni dalla maratona e ricordo che mi hai detto che se fossi morto durante la “38 ore” mi sarei persa uno scoop… Beh, visto che sei sopravvissuto, comincerei proprio da qui. Qual è lo scoop?
Lo scoop, ahimè non concretizzatosi, sarebbe stato la morte in scena, che è da sempre il desiderio nascosto dell’artista. Molto difficile da realizzare. Io non ci sono riuscito neanche stando 38 ore in scena senza dormire.

Se, invece, dovessi inventartelo uno scoop quale sarebbe?
Lo scoop della mia vita sarebbe essere in televisione con una cosa completamente ideata da me. Ma ormai sono tranquillamente rassegnato. La vita ha deciso che la pochissima tv fatta in video e la non poca tv fatta come autore è sufficiente e siamo a posto così. Forse quello che resta uno scoop realizzabile è il successo di un mio libro, ho ancora un’età in cui questo può succedere. Certo, dovrei mollare il concetto di autoproduzione per approdare a una casa editrice, ma desidero sempre mantenere il controllo delle mie cose scritte (“opere” è pomposo). Ma sto divagando…

La prima maratona, due anni fa, è stata di 36 ore. Stavolta ti sei superato con 38 ore no stop di comicità, come nasce?
A livello personale, la voglia di sfidare un limite fisico con qualcosa che mi appartiene (il palco) e comunque fare qualcosa per cui un domani mi si possa ricordare in qualche modo (l’artista alla fine lavora “per restare”). E poi c’è la causa benefica che sostengo.

A chi è stato devoluto il ricavato di questa piccola “follia”?
Alla “Tashi Orphan School”, un orfanotrofio in Nepal che ospita bambini fuggiti dal Tibet. E’ lunga da spiegare ma, in breve, la Cina sta vessando il Tibet togliendo il diritto di un’autonomia politica, religiosa e culturale. Se esponi una bandiera del Tibet rischi la tortura, per dirne una, per cui ci sono famiglie che affidano i bambini a delle guide e li mandano in Nepal, dove vengono accolti da questa scuola orfanotrofio. Il “Salvini” di turno potrebbe dire “ma perchè ti occupi di una causa così lontana, con tutti i problemi che ci sono anche da noi?”. Beh, a parte che i bambini sono sempre bambini in tutto il mondo, ma la Tashi Orphan School ha provveduto a molti bisogni primari del Katmandu post terremoto, aiutando a procurare viveri e medicinali, ricostruire case, riattivare reti idriche, insomma fare il lavoro che va fatto in casi d’emergenza, come spesso succede a casa nostra perchè il bene vero non ha nazionalità.

Senza farti i conti in tasca, come è andata?
Speravo di più… ma la volta scorsa non raggiungemmo i 550 euro, stavolta abbiamo sfiorato gli 800 euro. Piccoli numeri, ma senza avere una grossa struttura promozionale alle spalle e con un pubblico prevalentemente molto giovane (e di conseguenza squattrinato) abbiamo fatto un piccolo miracolo!

Dado TedeschiTu sei un provocatore e, dando per scontato che tifassi Napoli, non vedevi l’ora di raccontarmi perché Sarri & Co. hanno perso lo scudetto e tutto quello che c’era da perdere nella scorsa stagione.
Da appassionato trovo gli sfottò sul calcio simpatici, quando i “botta e risposta” non hanno livore. Sono interista e la guerra vera (sempre col sorriso) è con la Juve. Non riesco neanche a essere troppo contro il Milan perchè è la squadra di mio figlio. Vediamo le partite insieme e lui tifa Inter con me e io Milan con lui. E poi Gattuso è simpatico, è uno vero. Il Napoli ha perso tutto perchè esiste il karma. Con supponenza e presunzione ha buttato via Coppa Italia ed Europa League, quando è arrivato il momento di agguantare lo scudetto non sono stati all’altezza né fisicamente né mentalmente.

Ecco, tu interista e io laziale (non così sportiva come te). Hai una teoria anche per la vostra qualificazione in Champions a discapito della nostra? Resta inteso che, qualunque cosa mi dirai, non sarò d’accordo.
Io credo che Inter e Lazio siano state due squadre speculari nel campionato, entrambe con un grande allenatore e un grande bomber. Entrambe con dei punti deboli, l’Inter il calo (sistematico ormai) di metà stagione e la Lazio un po’ di arbitraggi contro e qualche distrazione. In Champions è andata l’Inter ma poteva andarci tranquillamente la Lazio, di certo non è stata Lazio Inter la partita che ha deciso.

Mi ricredo, su l’ultima affermazione sono d’accordo. L’Italia invece perché è fuori dai Mondiali?
Sarà semi-fascista dirlo ma, a parte molta incapacità dei vertici del calcio, credo manchi amor di patria. Agli italiani frega poco dell’Italia in generale, figurati della nazionale (complici le recenti figuracce). Ai calciatori italiani poi, abituati a vestire con disinvoltura casacche di Inter, Juventus, Real Madrid e mediamente idolatrati meno dei loro equivalenti stranieri, della nazionale frega ancora meno. Insomma, Ventura non è stato totalmente innocente ma i calciatori hanno avuto più di una colpa.

Ce l’hai la Nazionale di riserva da tifare?
Amo le piccoline, ho una simpatia per l’Islanda. Poi ogni tanto mi piazzo scommesse milionarie da due euro per trovare motivazione nel tifo. E comunque che bello essere intervistato con domande sul calcio! Il mio sogno segreto è quello di fare l’opinionista in tv alla Teocoli o Abatantuono… ecco, questa sarebbe una cosa che farei bene e per cui non sarei troppo vecchio.

Allora la prossima intervista la faremo durante il campionato. Intanto in questi giorni ho scoperto un po’ di cose di te, come il fatto che sei stato autore di molti programmi tv tra cui Colorado. Ma con questo, però, hai chiuso quando il programma è diventato brutto, hai detto.
In realtà vorrei fare un distinguo. Colorado è diventato brutto quando è diventato efficace. Nel senso che il Colorado, a cui ho partecipato io, era partito in seconda serata per cui permetteva la sperimentazione. Andai in scena perfino io con due monologhi ma dal punto di vista televisivo era illogico e quasi schizofrenico. Il programma era una creatura di Massimo Martelli, un capo autore e regista geniale, che amava i comici più della tv, per cui non aveva problemi a mescolare i giochi di parole di Turbolenti e Ivan Fiore con i monologhi di Alberto Patrucco o il demenziale alto degli Skiantos. Col passaggio in prima serata tutta la poesia è finita, i capi autore successivi hanno pensato più alla borsa e a compiacere i “vertici del programma” che alla qualità e tutto è diventato un omogeneizzato con il distinguo dei “bambini” la prima ora e mezza e il “cazzoinmano” l’ultima ora. Televisivamente ineccepibile, quindi più vicino a Maria De Filippi che alla comicità di contenuto. Ora quella comicità è morta, Colorado (e Zelig col suo patetico “canale 243” reclamizzato con spot con battute tipo “metto la macchina in moto e la moto in macchina”) sono solo zombies che resistono nonostante l’avanzato stato di decomposizione.

Sei stato anche autore di tanti comici tra cui Mago Forest, Gabriele Cirilli e Flavio Oreglio… per chi scrivi ora?
Scrivo per i più giovani, spesso ex allievi, ma non è più un lavoro da autore puro, è più un incontro, un confronto, una lezione che continua, in cui aggiungo battute sul loro già buon lavoro. Capita qualche collaborazione ma è sporadica, il grande giro se n’è andato e va bene così.

Com’è che sei stato autore di personaggi e programmi così popolari ma tu sei ancora un artista di nicchia? Posso considerarti così?
Qualcuno direbbe “di nicchia”, io preferisco dire “di serie B”, dove la serie B è qualcosa che ha una sua nobiltà. Come disse Guccini in una sua canzone “C’è gente che è di casa in serie B”. Io sono uno tipo lo “Spezia”, uno che piaccia o no, resta sempre uno dei migliori in circolazione, ma a cui manca sempre qualcosa per arrivare alla serie A.

Cosa è mancato?
Cosa è mancato? Forse un po’ di diplomazia, forse ha pesato la mia insofferenza al potere, e sul versante “comparire in video”. Forse mi è mancata anche un po’ di immagine vincente, mi sono sempre abbastanza trascurato nel cosiddetto look, ma ho un’età in cui preferisco non farmi troppe domande per non avere rimpianti.

Ad un certo punto della tua vita da comico e autore hai deciso di cambiare rotta e prendere la strada della Stand Up comedy. Quando è successo?
Sono sempre stato uno Stand Up Comedian. Mi sono sempre proclamato così in tempi non sospetti. Quando ho visto che c’era una “rifondazione” di questo genere, ho cominciato a frequentare e pian piano a entrare nel circuito di questi giovani comici. Ripartendo economicamente da zero, ma con un sacco di nuovi stimoli.

E’ cambiata la tua comicità?
Non è così cambiata, semplicemente prendo coscienza ogni giorno che la Stand Up ti offre delle libertà maggiori e delle responsabilità tematiche, cerco quindi di applicare tutto ai monologhi che scrivo con totale sincerità.

Desideri ancora fare tv? Non come autore ma come comico.
A livello teorico sì. Ma oggi la tv non ti cambia la vita e quindi mi interessa meno. Avrei voluto fare la tv bene e a lungo quando Zelig e Colorado davano una visibilità vera e aprivano le porte dei teatri e del bel lavoro live. Un segreto di pulcinella, i comici intelligenti non vogliono diventare famosi per vivere nel lusso e firmare autografi. Sicuramente due soldi evitano rogne quotidiane, ma la vera gioia del comico è lavorare in contesti belli in cui arriva pubblico vero che non sei stato costretto a reclutare tu con promozioni su Facebook e che ha già un “rispetto per il tuo lavoro”. Non devi convincere il pubblico che “sei bravo anche se non sei in tv”, il pubblico viene a vederti perchè ti considera già bravo. Poi, visti i tanti comici televisivi che dal vivo toppano sistematicamente, dovrai comunque sempre convincere il pubblico che sei bravo ANCHE dal vivo, ma questa per me sarebbe la parte facile.

Com’è cambiata la comicità in genere?
Ci sono due grandi blocchi di comicità in Italia, e in mezzo un’autostrada. Una volta era tutto lo stesso mondo con picchi in alto e in basso. Una volta trasmissioni come “Non stop” mettevano insieme commerciali come Beruschi e Raf Luca con geni come Verdone e Troisi. Anche nelle programmazioni dei locali anni ‘90 trovavi nello stesso mese un Alberto Patrucco fortemente satirico e un Carletto Bianchessi dalla comicità demenziale.
Oggi i comici televisivi/paratelevisivi tutti “tormentone e gioco di parole”, stanno tutti a spasso, fanno ammucchiate in serate di beneficenza e in qualche convention dove ignoranti del cabaret vogliono il personaggio famoso. I giovani pagano anche il problema di non avere sufficiente repertorio per sostenere uno spettacolo. Dall’altra parte, invece, i giovani della Stand Up hanno preso in mano i locali e stanno cercando di ricreare un circuito. Ma i due mondi non comunicano, ciascuno snobba l’altro. Io sono stato un po’ orgoglioso di aver mescolato i due mondi nella mia “38 ore”, perchè pur rivendicando un’appartenenza credo che la contaminazione faccia bene a tutti. Però c’è da dire che in questo momento sulla Stand Up c’è fermento, sul cabaret c’è solo parecchia desolazione.

Quando il pubblico si è allontanato dalla comicità?
Il pubblico non si è allontanato dalla comicità. Gli special netflix raccontano che c’è molta attenzione verso la comicità. Solo che la fruizione live si era un attimo bloccata. Tra farmi la mia compilation comica su “youtube” mescolando pezzi televisivi, monologhi americani, e cose del passato e guardare tre ore di Colorado in cui sento dire “il nonno di Jovanotti è Vecchioni” (vecchissima e riproposta da Pintus) o peggio andare a pagare 15 euro per sentire un comico che mi fa battute su Ikea e testimoni di Geova, non ho dubbi sulla scelta. I giovani che ancora possono allontanarsi dal computer o dal telefono hanno le serate Stand Up, dove sentono cose intelligenti fatti da ragazzi come loro. No, il pubblico non si è allontanato dalla comicità, si sta allontanando dalla brutta comicità.

Quindi, finalmente, l’Italia sta rispondendo alla Stand Up?
Siamo più lenti che negli altri paesi. Ho sentito disprezzabili autori Zelig dire “è solo una moda passeggera” poi vai su instagram e digitando “stand up comedy” vedi centinaia di comici e spettacoli in tutto il mondo. Qui certe logiche degli anni recenti fanno sì che la “stand up” viaggi con il freno a mano tirato ma il pubblico sta cominciando a conoscerlo e amarlo. E grazie anche a comici come me, e altri over 40 non è più visto come materiale per ragazzini, in serate più “tradizionali” ho inserito il mio repertorio stand up ed ha avuto riscontro anche con pubblico ageè. Secondo me lo stand up resterà comunque di nicchia ma è comunque il futuro.

Chi sono i comedian più popolari?
Finora forse gli unici due nomi che hanno fatto “il salto dello steccato” sono stati Giorgio Montanini e Saverio Raimondo. Perchè tutto lo stand up diventi fenomeno ci vuole una trasmissione che coniughi “ascolto” e “culto” come Zelig degli inizi, o andando un po’ indietro il “Su la testa” di Paolo Rossi. O deve succedere qualcosa di eclatante, tipo quando i Beatles diventarono baronetti. Io auspico, Montanini, Raimondo e Daniele Fabbri ricevuti dal papa, poi sono cazzi loro, gli toccherebbe la confessione.

Insegni la comicità. Come si fa? Esistono tecniche, regole? E se l’allievo supera il maestro non ti dispiace un po’?
Faccio spesso una battuta “ho sempre detto la comicità non s’insegna, poi mi hanno offerto dei soldi per insegnarla e lì ho deciso che la comicità si insegna”. Il talento e la scintilla iniziale non li puoi insegnare, però puoi indirizzarli, far applicare delle regole di costruzione di un testo e di lavoro mimico. Io in realtà parto poco dalla didattica, termini come “call back” (quando riprendi un elemento che hai fatto dimenticare e questo muove ilarità) li ho imparati quando già insegnavo. Ho sempre portato l’esperienza, il mio palco, le cose che ho imparato a scrivere e i mille errori fatti in carriera. La cosa che mi piace di più come complimento è “sei sempre sincero, fino all’autolesionismo”, cerco di esserlo anche quando insegno. Sono stato superato in notorietà da quasi tutti i miei allievi… ma questo mi fa piacere. E’ il discorso di prima, c’è un po’ di me in tutti loro e vola oltre dove sono riuscito a volare io.

Nelle tue interviste è sempre presente Clara Campi, così come lei mi ha segnalato la tua “38 ore”… come nasce la vostra collaborazione?
Clara dice spesso nelle interviste che grazie a me ha preso il coraggio di fare certe cose. Non prendo meriti, Clara sarebbe arrivata a quella decisione lo stesso. Forse grazie a me non si è sentita sola… Io la stimo davvero tanto. Adesso magari si offende ma io e lei siamo simili anche se diversissimi. Entrambi abbiamo subito delle ingiustizie lavorative (anche se lei in realtà ne è uscita più vincente del sottoscritto perchè ha un carattere più forte) e dei pregiudizi totalmente infondati, entrambi amiamo organizzare e fare gruppo (anche se lei è molto più efficiente di me) ed entrambi stiamo raccogliendo meno di quello che il nostro talento dovrebbe. Detto ciò lei è giovane, ha tempo, ha capacità e secondo me è solo questione di tempo. Una pagina con 25.000 followers non è robetta. A me Clara piace tanto. Già nei workshop con me dimostrava che era avanti, i suoi monologhi sono tra i più provocatori sentiti in Italia. E mai fatti tanto per fare. E poi è un’ottima attrice e un gran personaggio (opinionista con “le ovaie d’acciaio” perchè con le palle la offenderebbe) e soprattutto una donna molto coerente con se stessa. Credo che ci spinga a collaborare la stima reciproca. E il fatto che lei sa fare cose al computer e io sono Forrest Gump davanti a un pc. Ma la nostra è un’amicizia, non una collaborazione. Per cui come proseguirà? come ora. Con delle convergenze casuali che trasformeremo in qualcosa di utile, a volte per lei, a volte per me…

Ho un elenco infinito di domande da farti ma dimmi dei tuoi prossimi progetti e le altre le conservo per la prossima intervista.
Il progetto base è sempre la sopravvivenza e campare di questo. Non è roba da poco, e più passa il tempo più da “non solidificato” diventa difficile. Ma Cyrano diceva “che senso ha battersi se la vittoria è certa?” Ora come ora il mio progetto è restare vivo fino alla nostra prossima intervista… o allo scudetto dell’Inter… Allo scudetto della Lazio no, perchè non sono un Highlander.

Ribattezzata da un vecchio amico Vanna Mò si definisce un'adorabile rompicoglioni anche se crede di essere più adorabile che rompicoglioni. Amante del calcio e laziale patologica, il suo grande amore è stato il pappagallino Olimpia, bianco celeste che ripeteva tutto tranne "forza Lazio". Chiacchierona e lunatica, ha le pubbliche relazioni nel dna. Socievole e social, è un segugio del web. Nonostante il curriculum sentimentale horror sogna il grande amore delle commedie rosa che colleziona e attende l’arrivo del suo Mr. Big come in “Sex and the City”. Convinta di essere una ragazzina (guai a chiamarla “signora”!), “frettella” per non dire ansiosa, maniaca della puntualità e della programmazione, il suo motto è “nella vita ho scelto il buon umore!”.

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