Simone Spirito ha i capelli ricci, occhi scuri e un sorriso dalle mille sfumature. è un giovane cantautore napoletano che nasce come attore nella scuola del teatro Elicantropo. Ben presto però l’interpretazione di ruoli scritti da altri e non partoriti della sua mente, fa sì che Simone si avvicini alla musica, appagando quell’esigenza, così fortemente avvertita di raccontarsi.
“Musica, dentro i miei occhi, sei l’unica che mi emoziona ancora…” (La canzone dell’imbelle). Una laurea in sociologia, tante esperienze teatrali importanti (ad esempio con gli “Ipocriti”, Massimo Ranieri) e l’incontro con Rocco Papaleo che, tra una pausa e l’altra dagli spettacoli, lo trascina nel suo personalissimo universo musicale. E così Simone s’innamora di nuovo di un “antico” interesse, quello per la musica, per qualche tempo tralasciato e nel 2013 esce il suo primo album “La Luce Del Mattino”, prodotto dalla Polosud Records. La musica è stato il modo per rasserenare la sua anima, la cura per abbandonare i suoi tormenti. Ma Spirito è convinto del fatto che la totale serenità personale non possa dipendere solo da un unico progetto. Nella vita, infatti, c’è sempre bisogno di “un piano B” che lungi dall’essere un motivo di facile arrendevolezza, è, anzi, uno stimolo a non chiudersi nel proprio mondo fatto di parole e di musica avulse dalla realtà. “Mio padre mi ha sempre detto di crearmi alternative, di non puntare solo su una cosa” confessa Spirito.

Un amore per la musica, quindi, coltivato e curato nell’ordinarietà della vita stessa. Grande amante di Lennon, Nutini ma anche di Eduardo Bennato e della scuola cantautorale romana (Fabi, Silvestri e Gazzè, solo per citarne alcuni), Simone racconta come sia difficile “essere imprenditori di se stessi” in un panorama musicale in cui ci sarebbe il bisogno di avere più produttori che investano su delle idee e disposti a realizzarle potendo contare sulla grande determinazione e serietà di tanti giovani musicisti che cercano si ampliare il proprio bagaglio artistico. Per il cantautore gli incontri umani sono vitali, come quello, ad esempio, con il bassista Lorenzo Ska con cui si è aperto ad un genere più inglese, più europeo. Si definisce un inguaribile “malincomico”. Il vero filo conduttore della sua arte è la raccolta delle sue personalissime esperienze che poi diventano musica, una musica che nasce nello stesso momento in cui vengono alla luce le parole, ma che è sempre più allegra per compensare e, a volte, mascherare, la sua ironia malinconica.

I pezzi, sempre chitarra e voce, trovano il loro abbellimento musicale solo in un secondo passaggio, quando la smania di raccontare lascia il posto al lavoro su di essa. La connessione, primitiva e istintiva, che crea Spirito con il suo pubblico è riscontrabile in ogni suo live. Tanti i club in cui si è esibito a Napoli e sempre grande è stato il riscontro del pubblico grazie alla sua personalissima cifra stilistica che diverte ed emoziona al tempo stesso. Perché Simone Spirito, in uno scenario così denso di nuove proposte, è anche e soprattutto questo: riconoscibile. “Qui nulla sembra statico, anche il dolore è elastico e tutto serve a non dimenticare quanto questo posto è pieno di energie d’amore” (Al Centro Storico). Simone si trasferisce pochi anni fa al Centro storico, nei pressi di piazza Bellini, nella casa di una nonna mai conosciuta. E qui, attraverso ricordi familiari e sue nuove esperienze, conosce una vita diversa, in un quartiere così intensamente e meravigliosamente napoletano. Come il suo centro storico è un gomitolo di viuzze che illuminate dal sole aprono lo sguardo a nuovi e immaginabili scenari, così Simone Spirito attraversa la realtà del quotidiano per interpretarla con tutte le sfumature del suo sorriso.

Toglietele cibo e acqua ma non vi avvicinate alle sue sacre otto ore di sonno. Giornalista, trashmaniaca e whatsapp addicted, colleziona tatuaggi, ex ragazzi sbagliati e, a volte, morsi di cani. Si definisce una “santa”, anche se col tempo ha leggermente modificato uno degli insegnamenti di Gesù: «Contraddici il prossimo tuo come te stesso» e se la sua ironia non trova sfogo in qualche contorta metafora allora emette intensi mugugni da cineteca. Ha portato il suo celebre modo di gesticolare in giro per il mondo tra Roma, New York e Milano ma il suo rifugio, luna park e scrigno dei sogni rimane sempre il borgo incantato di Pietramelara.

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