«Il tocilizumab come la pillola di Limitless»

Nel libro “Una scarpa contro la stronza” Vanna Morra racconta la relazione con la sua stronza: l’artrite reumatoide

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Sta a metà tra Carrie Bradshaw e Carolina Morace. Vorrebbe un armadio mitologico, e il chiodo del pallone la sogna in campo, ad allenare, con la Lazio in testa e le Converse ai piedi. Mette il turbo, se serve, sguaina il pugno robotico alla Daitarn 3. Lo fa quando c’è da scazzottare con la “stronza”, per esempio. Chiama così l’artrite reumatoide, con la delicatezza che meritano le seccature dai nomi giganti.

Vanna Morra, giornalista con la stoffa del sorriso, è in libreria con “Una scarpa contro la stronza”, edito da Iuppiter Edizioni. Dentro ci racconta di sé, della relazione complicata con l’artrite, di ruzzoloni e risalite, di amori, tra i bocconi di un’Italia che esisteva ancora in analogico e, a zampate lunghe, finiva nel mondo nuovo.

 

Siamo isolati dagli altri, dallo spazio fuori, e forse l’unica nota bella è il tempo che possiamo arredare come ci va. I libri sono un ottimo riempitivo. “Una scarpa contro la stronza” lo è per tante ragioni…
Lo è per mille ragioni perché, come dico sempre, “c’è tanta roba” in questo libro. “Una scarpa contro la stronza” viene dalla rabbia accumulata durante la battaglia legale contro un colosso della sanità lombarda, e dal fatto che di artrite reumatoide nessuno parla mai, o almeno fino ad oggi, complice il Covid-19. Io stessa mi sono sempre riguardata dal farlo. Scrivendo, però, mi sono accorta che più che un racconto poteva essere un percorso di vita in cui riconoscersi, perché ognuno di noi ha una “stronza” da combattere, che sia artrite, uno stato d’animo cronico o qualunque altra cosa. Lo leggo nei tanti messaggi che ricevo, soprattutto adesso, in quarantena. L’isolamento forzato, hai ragione, è un’ottima opportunità per dedicarsi alla lettura. E credimi, non avevo messo in conto l’effetto che il libro avrebbe avuto sul lettore. Oltre allo shock iniziale di ritrovarsi davanti a una Vanna inimmaginabile, tanti mi ringraziano perché si sentono spronati a essere forti, a imparare a volersi bene come ho fatto io.

Il libro però è anche un tuffo nella storia di tutti, stralci di un’Italia che non c’è più, il pre-facebook, miti incrollabili… E lo fai con un fraseggio leggero, ironico anche.
Sì, ci ho messo dentro il mio mondo, ma anche quello che appartiene a tutti: si ripercorre cronologicamente il passaggio dalla non tecnologia al mondo che abitiamo, dai mitici anni ’80 e ’90 ad oggi. Insomma si ride anche, eh? E a quanto pare si legge velocemente: c’è chi l’ha divorato in poche ore di fila, cosa che non riuscirei a fare nemmeno io che l’ho scritto.

Nell’emergenza è stato portato alla ribalta il Tocilizumab, farmaco anti-artrite, che sembra avere buoni effetti nella cura del coronavirus. Onnipresente nei Tg, ma ostinatamente mal pronunciato. Ci spieghi cos’è?
Ah guarda, la mia nemica-amica stronza, è andata in paradiso per scambio! In questo incubo è diventata addirittura famosa, e secondo me in buona parte è responsabile proprio l’impronunciabilità del Tocilizumab. Il professor Ascierto ha suggerito di chiamarlo in modo familiare “Toci”, come fanno lui e la sua equipe. Del resto i farmaci biologici – di loro si tratta – diventano parte di te e dei professori che ti curano, e ci può stare. Ai tempi anche io e i miei medici il Remicade lo chiamavamo “Remi”, anche se il nome scientifico è Infliximab che, come puoi notare dall’assonanza, appartiene alla stessa famiglia.

Nel libro parli di questi farmaci come una manna, una specie di pillola di “Limitless”. Sono davvero così potenti?
Il primo farmaco biologico l’ho sperimentato circa vent’anni fa. La mattina dopo la prima infusione sembrava mi fossi svegliata con i super poteri. Mi sentivo Bradley Cooper/Eddie Morra del film. Ecco, succede proprio una roba del genere.

 

Ma, in concreto, come agiscono?
Aspetta, mi trasformo di nuovo in Globus, il globulo rosso di “Siamo fatti così”, e ve lo spiego in maniera molto semplice, come faccio nel libro. Un farmaco biologico serve a sopprimere il sistema immunitario impazzito, che invece di difenderti ti si scaglia contro. Nel caso del Covid-19 l’intuizione sull’uso del Tocilizumab è scaturita dal fatto che il sistema immunitario, con l’infezione, subisce delle alterazioni e attacca i polmoni, diventando alleato del virus anziché antagonista. L’unione fa la forza, si sa, immaginate quanto possa essere letale l’alleanza tra questi due. Il “Toci” quindi non è la cura, ma l’arma che serve ad abbattere il sistema immunitario e a permettere ai farmaci anti-virali di distruggere il coronavirus. Per fortuna l’effetto è quasi immediato, ecco perché i pazienti sottoposti alla sperimentazione che rispondono bene al farmaco stanno traendo benefici ad appena poche ore dal trattamento.

Nel libro ti definisci un’incallita shopaholic. La quarantena, però, obiettivamente restringe il concetto di guardaroba. Come battere la dittatura di pigiama e ciabatte quando si è costretti a stare in casa?
Uh sì, terribilmente incallita! Se per assurdo mi mettessero a disposizione una somma di denaro e mi chiedessero di scegliere tra una vacanza e lo shopping, ti dico senza pensarci che punterei allo shopping. Comprendo perfettamente Becky Bloomwood, la protagonista dei romanzi di Sophie Kinsella “I love shopping”, e vivo nel mito di “Sex and the City”, anzi in quello dell’armadio gigante di Carrie. Per le lunghe quarantene sono temprata e vale la regola che ho adottato sin da piccola durante le mie “vacanze” in reparto: niente pigiama, niente pantofole e niente pomeriggi a letto. Via libera ad abbigliamento comodo ma, per carità, che sia abbigliamento. Ho bisogno in questi casi di luce e di colore, perciò ho confinato per un po’ il nero. Ogni giorno indosso un maglione colorato diverso, perfettamente in pendant con le pareti verde mela e le tende fucsia della mia stanza dove passo la maggior parte del tempo. Ai piedi, ovviamente, le mie alleate inseparabili: le Converse.

Giornalista col talento del dettaglio ed esperta seminatrice di virgole, è capace di non dormire per un refuso che si materializza davanti ai suoi occhi come la macrozinna del film di Woody Allen “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere”. Non sappiamo dove ricarichi la sua energia, ma in redazione, mentre gli altri cadono come birilli, lei procede come il coniglietto della Duracell. Se potesse salirebbe su un aereo un weekend sì e pure l’altro; nel frattempo rimedia avventurandosi con la mente in pindarici viaggi con biglietto di sola andata. Adora il cinema introvabile, gli amori impossibili, il sushi e tutto ciò che va sotto la voce di “cocktail”. Ha ceduto al tatuaggio: un mandala è entrato nella sua vita.

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